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“Fondo San Giuseppe”: vuol dire sapidità, mineralità e bio

BrisighellaCos’è la Biodiversità? Lo abbiamo chiesto a Stefano Bariani, proprietario di Fondo San Giuseppe. “Ampia presenza di specie vegetali che creano un ecosistema tendenzialmente in equilibrio. La vigna è un agro-ecosistema che in natura non esisterebbe mai. In natura non esiste in modo spontaneo una sequenza enorme della stessa specie, ma la stessa specie è suddivisa in un ampio areale frammistata da altre. Quindi l’agricoltura, che mette un campo della stessa varietà vegetale tutta in un posto, distorce ciò che la natura ha previsto.

Ecco perché creare biodiversità aggiuntiva e creare un agro-ecosistema può essere molto utile per non usare insetticidi, usare pochissimi fungicidi e creare quell’equilibrio che consente al terroir di esprimersi nel bicchiere.”Siamo a Valpiana, un altopiano a 400 metri di altitudine a pochi chilometri da Brisighella. Qui dal 2008 sorge Fondo San Giuseppe, un’azienda biologica certificata che fa del rispetto della natura, del territorio e della materia prima la sua mission. Tutto ciò si traduce di conseguenza in rispetto per il consumatore, quindi per le persone che assaggiano, degustano e bevono questi vini.

Dopo anni di esperienze presso altre cantine (tra le tante, ha trascorso sette anni in cantine Gaja come assistente di Angelo Gaja), nel 2008 Stefano ha rilevato il podere per assecondare la sua esigenza di esprimersi come produttore. Nel rispetto della sua filosofia di intervenire il meno possibile sulla natura, ha deciso di vinificare le varietà di uva già presenti nella proprietà. Insieme ai 4 ettari e mezzo di vigna sono stati acquistati anche 12 ettari di bosco intorno. Questo per isolarsi dalle altre proprietà circostanti ma soprattutto per favorire la biodiversità e creare quell’agro-ecosistema equilibrato citato all’inizio. Per lo stesso motivo non vengono usati lieviti selezionati ma solo lieviti indigeni, e l’uso della tecnologia è molto moderato.

  Foto a sinistra: Stefano Bariani,

Vengono controllate le temperature di fermentazione ma in modo molto tenue. Tutto questo per rispettare la materia prima ed i processi naturali affinché il terroir si esprima al meglio. L’azienda produce circa 25000 bottiglie da vitigni autoctoni e non, tutti coltivati secondo questa filosofia. Noi abbiamo scelto di degustare due vini da uve autoctone romagnole proprio per valorizzare ancora di più il territorio.

Iniziamo con Téra 2018.

Trebbiano composto al 50% da Trebbiano della Fiamma proveniente da una vigna di 25 anni e per l’altro 50% da Trebbiano romagnolo da una vigna di 40 anni. Dopo la diraspatura l’uva viene pressata in un antico torchio ed il mosto viene fatto fermentare spontaneamente nelle vasche d’acciaio. Per la chiarifica viene utilizzata solo la bentonite, un’argilla naturale, e non vengono usate né albumine, né caseine; questo è un fattore importante anche per il consumatore che, per intolleranze o scelta di alimentazione, non vuole residui di prodotti di origine animale. L’anidride solforosa è presente al 10% del valore massimo consentito dal disciplinare biologico. Al momento della degustazione il vino ha solo una settimana di bottiglia, ma nonostante lo stress della microfiltrazione rispecchia già le caratteristiche del vitigno e lascia trasparire un potenziale che si esprimerà al massimo tra qualche mese. Già nel colore riconosciamo il 2018. Un’annata elegante con dotazioni alcoliche medio-basse, con estratti secchi medio-bassi e con medio corpo e struttura. Giallo paglierino tenue con ancora affascinanti riflessi verdolini di gioventù. Si passa ad un naso preciso, leggermente più maturo dove il frutto, ben percettibile, è accompagnato da una nota agrumata, citrina, che poi lascia spazio ad un fiore elegante e alla parte vegetale ben presente. In bocca entra sapido, diretto, ma in breve tempo questa sapidità cede il passo al frutto dolce per chiudere con l’acidità del frutto acerbo in giusto equilibrio con la struttura. Il finale è a favore delle durezze che lasciano la bocca asciutta e costretta a salivare. Un vino che, grazie a queste caratteristiche, richiama la bevuta ed il sorso ampio, soprattutto se gustato alla temperatura di servizio giusta. Se invece lo lasciamo nel calice a prendere qualche grado in più riusciamo a percepire un’espressività varietale che il freddo ci aveva un po’ nascosto.

 

Proseguiamo con Fiorile 2018

Albana a fermentazione spontanea in vasche d’acciaio. Metà della massa ha fatto un affinamento di 4 mesi in tonneaux nuovi di rovere di Allier non tostati. Anche in questo caso siamo di fronte ad un vino che è stato imbottigliato da pochi giorni dopo la microfiltrazione. E’ un’albana di colore giallo paglierino anche nelle sfumature, con una lacrimazione fitta e abbastanza lenta che ci fa pensare ad una struttura decisa. L’albana, in un’annata esile ed elegante come il 2018, non dimostra al naso l’opulenza varietale, al momento appena accennata ma percettibile, che solitamente la distingue e che arriverà con un po’ di ossidazione in bottiglia. Un uso sapiente del legno offre una percezione minima della speziatura vanigliata a completamento di un corredo olfattivo di bella complessità che non sfocia mai nell’eccesso. In bocca è pieno, ricco di struttura, di estratto secco, con alcool moderato. E’ abbondante e allo stesso tempo aggraziato e morbido. Il frutto all’inizio avvolgente, lascia spazio in un secondo tempo alla mineralità e poi ad un finale lungo, asciutto e fresco in cui però questo frutto si ripresenta insieme ad una salivazione abbondante che anche in questo caso porta la bocca a chiedere un altro sorso. Ci sono diversi punti in comune tra i due vini. Prima la sapidità, che indica l’espressione di un terroir. E poi eleganza, freschezza, frutto delicato e grande beva, che rispecchiano le caratteristiche dell’annata. Venendo da un 2017 esuberante nelle concentrazioni, negli estratti secchi e che ha dato vini in cui a volte i lieviti non sono riusciti a completare la fermentazione, ora ci troviamo di fronte il 2018, un’annata intellettuale in cui i vini hanno sapore anche con bassa gradazione alcolica. Questo è il segno che davanti alla natura l’uomo può decidere ben poco. Questi sono vini che ci aiutano a comunicare un territorio ad un pubblico che ha la necessità di approcciarsi alle varietà romagnole. Concetto, questo, che dà dignità al consumatore perché inizia ad interagire con il luogo di origine, e dà dignità al produttore il cui lavoro viene valorizzato. La diversità dell’ambiente e lo sforzo stilistico di toccare il vino il meno possibile durante la lavorazione sono valori che devono essere apprezzati dal consumatore che ottiene così la ricchezza di fare un’esperienza sempre nuova degustando ogni anno un vino diverso.

 

www.fondosangiuseppe.it

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