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Merano: Ritorna la kermesse “Merano WineFestival” dal 10 al 14 novembre.

“Merano WineFestival”, dal 10 al 14 novembre con la presenza di 450 case vitivinicole tra le migliori in Italia e nel mondo, 200 artigiani del gusto e 15 chef. Anche quest’anno la prima giornata è stata dedicata ai vini biologici, biodinamici, naturali e PIWI (varietà resistente alle malattie fungine) e “Naturale et Purae”, un percorso tra naturalità e purezza con oltre 100 produttori, a cui per la prima volta si affiancano gli “orange wine”. Dall’ 11 al 13 oltre a “Wine Italia”, nel palazzo “Kurhaus”, ospiterà anche “Wine International” con vini della Spagna, Argentina, Libano, Sud Africa, Austria e Crimea. Nello stesso tempo avrà luogo “GourmetArea” e “Cooking Farm”.

Helmut Köcher, WineHunter e patron di Merano WineFestival

Immancabili le “Masterclasses”, degustazioni guidate di eccellenze enologiche nazionali e internazionali all’Hotel Terme Merano, il cui ricavato andrà in beneficenza. Infine, il 14 novembre, “Catwalk Champagne”, una sfilata nella “Kursaal Merano” di alcune fra le migliori Maison de Champagne. Alcune delucidazione delle novità di quest’anno e della filosofia dell’evento nell’intervista a Helmuth Köcher, “WineHunter” e patron di Merano WineFestival.

I visitatori presenti al Merano WineFestival hanno la possibilità di degustare prodotti di nicchia accuratamente selezionati, ci spiega secondo quali criteri queste etichette vengono valutate dalle commissioni “WineHunter”?

Ormai da 26 anni la commissione WineHunter invita tutte le aziende che fanno parte della nostra banca dati a inviare la loro campionatura. Una volta ricevuta la campionatura ci sono otto commissioni d’assaggio che valutano i vini in base al criterio dei 100 punti e, fatta una selezione finale, al Merano WineFestival vengono invitate le aziende i cui vini hanno ricevuto almeno un punteggio di 88 punti su 100, ovviamente dando la precedenza a quelli che hanno ottenuto punteggi superiori. Si cerca anche di mantenere un equilibrio tra le varie aree vitivinicole e di avere ben rappresentata tutta Italia.

Uscendo dai confini dell’Italia, quale il territorio straniero su cui si concentra questa edizione del “Merano WineFestival” e perché lo ha scelto?

Quest’anno il focus è sull’Istria che vedo come un territorio emergente.

Qualità ed eccellenza dei prodotti sono sicuramente tratti distintivi del Merano “WineFestival”, ma cosa sono per lei veramente “qualità” ed “eccellenza” oggi?

Quando ho iniziato con il Merano WineFestival nel 1992 si iniziava a parlare di qualità, mentre la parola eccellenza era allo stato embrionale, perché non c’era la ricercatezza che c’è oggi. Il mercato della viticoltura non aveva a disposizione la tecnologia attuale e dopo 25 anni c’è stato un tale avanzamento, che produrre un prodotto di qualità non è più così difficile. La parola qualità diventa però difficile da interpretare e da usare nella comunicazione, così come la parola eccellenza: basta vedere quante volte questi termini vengono sfruttati, comparendo nelle pubblicità dei vari prodotti. Va fatta quindi una distinzione perché per me qualità, soprattutto nel segmento che riguarda il vino, è comunque da considerare a livello di emozione.  Quando assaggio un vino o un prodotto deve esserci il valore emotivo e oltre a questo l’approccio con un’eccellenza deve darmi l’impressione di immergermi nel prodotto sia che si tratti di un vino, di un panettone o di un cioccolato. Quando la gente mi chiede come faccio a sapere se una determinata cosa è un prodotto qualitativamente buono o meno, io sono del parere che anche il fattore personale sia molto influente e che ognuno di noi sappia cosa piace o non piace perché possiede il valore emotivo che naturalmente anche i degustatori hanno.

Quest’anno il festival dà spazio per la prima volta agli “orange wine”, cosa l’ha colpita in particolare di questo nuovo trend di prodotto?

La parola “orange wine” è già di per sé una parola che richiama l’attenzione di chi la sente. Anche qui interviene la storia: si tratta di una lunga macerazione sulle bucce del vino bianco che riprende soprattutto la cultura vitivinicola georgiana della vinificazione in anfora. Il risultato è un prodotto molto più complesso, molto più ampio per quanto riguarda la struttura e di conseguenza più diversificato rispetto ad un vino bianco di pronta beva, fresco e con una bella acidità. È un settore che secondo me ha bisogno di essere comunicato e in cui c’è molto da fare e per quanto riguarda la qualità dei vini. Alla base, come dicevo prima, c’è sempre un discorso di valore qualitativo emotivo.

Ogni calice di vino e ogni prodotto gastronomico proposto in degustazione durante il Merano “WineFestival” racchiude in sé una storia di eccellenza. Quanto è importante per lei la condivisione di queste storie con i visitatori?

Lo ritengo molto importante perché il vino ci racconta non solo la storia di un territorio, ma anche di un produttore. L’etichetta di un vino racconta il percorso che il produttore stesso ha fatto e con questa si vuole comunicare da una parte la filosofia che c’è dietro e dall’altra un’eventuale storia di famiglia. Quando si afferma che nel calice di vino troviamo anche l’anima del produttore, lo ritengo in parte vero. Ogni produttore cerca di dare la sua impronta al vino oltre a quella che viene conferita dal territorio, per cercare di trasferire il vissuto, il passato e la storia della famiglia stessa, soprattutto nel caso di aziende che sono alla ottava o decima generazione di viticoltori e vogliono valorizzare il lavoro dei proprio padri e nonni. A questo punto la comunicazione è ampia perché racchiude la storia di un territorio, di una famiglia e di un vitigno. Faccio l’esempio del Pinot Nero in Alto Adige: il tutto risale al 1835 quando un arciduca portò la vite in questo terreno; ecco che dobbiamo partire da lì per arrivare ai giorni d’oggi in cui il Pinot Nero è considerato il miglior vino rosso dell’Alto Adige per eccellenza.

Anche quest’anno uno spazio importante della rassegna è dedicato ai vini biologici, biodinamici, naturali e PIWI. Quanto questi prodotti continuano ad influenzare il mondo del vino? E quanto è importante la sostenibilità per il futuro di un settore come quello vitivinicolo?

Questi prodotti si inseriscono perfettamente nell’evoluzione che il mercato sta avendo: il consumatore è sempre più attento a quello che compra e che mangia, l’attenzione all’alimentazione è generale e questo fa sì che anche il prodotto vitivinicolo sia sottoposto alla selezione del consumatore. C’è una maggiore volontà di informarsi su tutta quella che è la fase di produzione; nel caso del vino si parte dalla vite stessa, dal suo periodo di fioritura fino alla vendemmia, con particolare interesse al territorio e ai prodotti utilizzati per salvaguardare le viti dalle malattie. Nel caso dell’agricoltura biodinamica i trattamenti annuali si restringono a due, eseguiti con prodotti interamente biologici, mentre nel caso dell’agricoltura convenzionale i trattamenti sono di più e senza l’utilizzo di prodotti biologici. La differenza notevole tra le due diventerà man mano chiara anche per il consumatore, che riuscirà ad attribuire il giusto valore ai vini biologici con un giusto compromesso tra sostenibilità e qualità, perché il vino biologico deve essere comunque piacevole da bere e senza particolari difetti dal momento in cui chiunque vuole bere e mangiare bene.

Informazioni: www.meranowinefestival.com

Maurizio Ranucci
direttore responsabile
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