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I Grani alti della valle del Savena

Foto Francesca Pesciarelli

Matteo Calzolari la terza generazione di una famiglia di fornai?
Lo apri mio nonno materno Licinio 1942, poi mio padre Francone nel 1956 fu il primo dei Calzolari, ci lavorava un po’ tutta la famiglia. Ho delle macchine al forno, che quando ero bambino mi mettevo in punta di piedi per riuscire a farle partire, mi piaceva sentirne il rumore, ogmgi per accendere quelle stesse macchine devo abbassare il braccio. Da piccolo mi facevano fare dei piccoli lavoretti come rompere le uova, o aiutare una Zia a lavare le pentole, lavori semplici ma importanti. In una estate decisi che io non avrei fatto il fornaio, volevo fare altro. Poi successe che mio padre si ammalò e si prospettava la chiusura del forno e un altro lavoro per Lui, però mio padre aveva sempre fatto il fornaio, non riuscivo vederlo in un altro lavoro, decisi di tornare, già con un’idea di cambiamento.

Foto Francesca Pesciarelli

Hai avuto le idee chiare sin da subito?
Siamo nella valle del Savena, una valle con più di 40 mulini, oggi quasi tutti diroccati, era la valle dei fornai, e come gli altri forni della valle avevamo perso il contatto tra il sacco di farina e il campo di grano, passava il rappresentante si parlava di doppia V, del prezzo, si trattava e arrivavano i sacchi, mancava il passaggio tra il grano e la farina. L’impresa è stata il ricollegare questo filo qua, ricomporre la filiera, la semina dei grani antichi locali in terreni non facili da lavorare, la trebbiatura e la macinatura a pietra nei mulini della vallata. Essere riuscito a fare questo è entusiasmante per me, ho reso questo mestiere più bello, più interessante, abbiamo ricreato una piccola economia di montagna che si era persa.

Foto Francesca Pesciarelli

Quando hai capito l’importanza del grano e della macinatura per ottenere una buona farina?
Un giorno assieme a degli agricoltori siamo andati nel Montefeltro a visitare un mulino ad acqua che macinava a pietra. Tornai a casa con un sacco di questa farina e mio padre mi disse “ va là va là che ci facciamo rider dietro” per Lui questa farina non era ne buona ne cattiva, quindi boná a lè, era già passata, era un tipo di farina vecchia di quando era giovane, gli dico: “Babbo va beh, ormai lo presa proviamo a fare il pane…” Quando ho spezzato con le mani la pagnotta, proprio in quel momento lì io ho capito che quello era il futuro altro che il passato, un profumo che non avevo mai sentito, anche mio padre ne rimase colpito, tutto un altro mondo fatto di sola farina e acqua, da grani ricchi della loro biodiversità macinati a pietra non c’era altro in quel pezzo pane.

Foto Francesca Pesciarelli

Dal profumo sprigionato da quella pagnotta nasce il nuovo Forno Calzolari?
Era il 2003, per un po’ ho continuato a prenderla da questo mulino, poi nella vallata riapre uno storico molino a pietra per macinare le castagne. Macinare del grano, era impossibile, antieconomico, gli abbiamo detto: dai macinalo lo stesso, mi dici quant’e, poi pian piano vediamo di farci i conti e così siamo riusciti a farci la quadra, e siamo partiti.

Prima di parlare col mugnaio bisognava avere il grano giusto
Nasce tutto nel bar del paese, con amico agricoltore, casualmente cominciamo a parlar di grano, e ogni volta che ci vedevamo parlavamo di grano, allora abbiamo deciso di fare delle prove, seminando un ettaro alla volta, grani diversi e in terreni dislocati in luoghi diversi, ma sempre nella vallata. Oggi siamo un gruppo, un fornaio, un mugnaio e 3 agricoltori, lo zoccolo duro, qualche altro agricoltore si è aggregato vedremo se avranno la volontà e la forza di continuare, Abbiamo fatto un accordo tra di noi, abbiamo iniziato al rovescio, io gli ho detto che per una farina che mi permettesse di vendere il pane a un prezzo giusto potevo pagarla così, abbiamo fatto i conti ed uscita una cifra che permette a tutti di lavorare bene, comunque più alta di quello di mercato. Con la garanzia che il grano viene acquistato tutto, manca solo la garanzia di come può andare il raccolto in base alla stagione. Per fare questi accordi ci vogliono agricoltori con la schiena dritta, come diciamo qua, il primo che passa non si mette in un’avventura del genere, bisogna essere bravi e sapere quello che si fa, confrontarsi con gli altri, parlarsi, e non demoralizzarsi se una stagione non va bene.

Foto Francesca Pesciarelli

Avete anche un accordo sui grani da usare e sui trattamenti in campo?
Certamente, ci siamo chiamati “I Grani Alti” seminiamo solo grani antichi come” Virglio, Fiorello, Autonomia, Ardito”. Si è deciso di non fare nessun trattamento in campo, si usa solo la Concia del seme, prima di seminarlo gli viene fatto un trattamento protettivo contro le malattia che possono tornare nei grani antichi, il seme viene trattato con questa polvere, che è stata oggetto di studio all’Università di Bologna, abbiamo organizzato dei corsi a Monghidoro con gli agricoltori e l’università. Pensa se parlavi di biologico o biodinamico con gli agricoltori ti guardavano male, senza sapere che di fatto lo applicavano già.

Foto Francesca Pesciarelli

Vi chiamate “I Grani Alti” l’altezza del grano dev’essere importante?
Una cosa che gli agricoltori hanno sempre cercato di fare è stato di ottenere dei grani con una taglia bassa, così il vento non lo stende, gli serve meno nutrimento. Quando sono arrivati i grani nani si pensava di aver vinto una guerra, ma non è così, l’importante è non esagerare con l’altezza, deve andare dai 120 ai 160 cm. Ma da campo a campo lo stesso grano può crescere diversamente, dipende se lo semini un po’ prima, dalla rotazione che fai col terreno, se l’anno prima avevi seminato dell’erba medica ti serve un grano che ha bisogno di più nutrimento perché il terreno è ricco, in altri casi servono grani più forti, dipende dall’esposizione che ha il terreno e anche dalla pendenza. L’altezza del grano non è solo uno stile, se no avremmo già finito di parlare, è l’altezza che lo fa convivere e difendere dalle erbacce, con un grano alto puoi evitare il diserbo chimico e quello meccanico, fai il terroir del grano, come nel vino. Se vai in un campo di grano senti un profumo meraviglioso che è dato dai fiori che nascono insieme al grano, io questo l’ho capito bene in un viaggio in Sicilia andando in campo di grano Tuminia, c’era un profumo inebriante, profumi che poi ritrovavi nel pane, e la cosa bella che questi profumi si differenziano dal nord al sud dell’Italia, ma anche da vallate confinanti, in un campo di grano nano devi fare il diserbo, perché non avendo l’altezza non ha la difesa naturale per mantenere la sua biodiversità, e quindi addio profumi.

Foto Francesca Pesciarelli

È determinante anche la macinatura del grano?
É la cosa più importante. La farina macinata a cilindro che è definita il fiore, non è una farina sincera, spremuta, macinata, è un chicco spaccato, una farina che non ti fa bene più di tanto, una farina non più viva. Mentre una farina macinata a pietra rimane viva, la tratti come un seme, gli metti l’acqua e lei torna a vivere, quando incontra l’acqua riconosce la vita e questo piccolo cambiamento chimico ti permette di fare l’impasto, cosa che non avviene con una macinatura a cilindro dove la farina è di tipo 0 o 00 ed è morta anche se gli metti l’acqua non lo fai l’impasto non riconosce la vita è un altro modo di fare il pane è un altro pane, sono due mondi diversi. Per tanto tempo nessuno lo ha capito, stanno a guardare solo al colore del pane o al prezzo, o lo capisci e allora fai il pane in un certo modo o non lo capisci e pazienza.

Foto Francesca Pesciarelli

A quanto ammonta oggi la produzione di questi grani, e hanno una buona resa per ettaro ?
Ad oggi siamo arrivati a 60 ettari seminati in terreni che vanno su e giù, non in una omogenea stesa di pianura, ogni appezzamento ha la propria diversità data dalla tipologia del terreno, abbiamo fatto le analisi e sono terreni perfetti. In questi anni strani, di siccità, di caldo abbiamo notato che i grani antichi hanno una resa più costante, più stabile, un grano moderno in montagna può variare dai 50/70 o 80 quintali per ettaro, mentre quello antico sta lì 25/30 quintali per ettaro, non si fa influenzare più di tanto dal clima.

Foto Francesca Pesciarelli

Chi sono i tuoi compagni di viaggio in questa avventura ?
L’Azienda Agricola Michelini, l’Azienda Agricola Alessandro Ropa e la Rughina di Pianoro. Stiamo facendo un bel lavoro, siamo soddisfatti. Con l’esperienza che acquisisci di anno in anno ti perfezioni e ottimizzi il raccolto, Se rispetti le regole e la natura non sbagli.

“Gino” è il tuo più fedele collaboratore?
Gino è il nostro lievito madre e lavora con noi dall’ottobre del 2001. Nel primo anno di vita Gino era molto irrequieto, arrivavi al mattino e trovavi il sacchetto esploso o ti esplodeva tra le mani mentre lo lavoravi, trovavi lievito ovunque,

Come mai lo avete chiamato Gino?
In radio si sentiva spesso Zucchero che cantava: “Gino sei un cane…” e vista l’irrequietezza che aveva allora è venuto naturale chiamarlo Gino.

Foto Francesca Pesciarelli

Come nascono i tuoi pani?
I diversi grani macinati a pietra vengono miscelati in una farina unica che aggiunta al lievito madre esce l’impasto ai grani antichi, da questo base facciamo tutta una serie di altri pani. Il pane rustico, nasce dopo un gemellaggio con un fornaio in Alto Adige mi sono portato a casa un modo diverso di usare la segale, dopo averla lasciata a bagno qualche ora l’aggiungo all’impasto dei grani antichi, mentre aggiungendo il grano spezzato nasce l’integralone, se aggiungo il grano duro diventa il Semolone, questi sono alcuni dei tipi di pane che produciamo. Poi ci sono le crescenti (focacce), le pizze, sempre e solo con ingredienti di stagione. Essendo il forno del paese, e non una boutique del pane, abbiamo dovuto continuare a fare anche un po’ di pane con farine bianche tipo 0 da grani moderni sempre biologici, anche perché per molti anziani il pane scuro li rattrista, gli ricorda la miseria della guerra. Non mancano i dolci dell’appennino, come lo zuccherino da una ricetta di una zia di mio babbo, fatto con uova, farina, olio, senza burro, lievito e zucchero nell’impasto, lo zucchero ne viene messo un po’ sopra prima di cuocerlo, il ciambellone le crostate, i dolci con la farina di castagne, anche qui quando ho iniziato si trovava solo una farina di castagna che vendeva un importatore piemontese, una cosa assurda, con tutti i castagneti che ci sono in zona, per fortuna un amico di mio babbo ha riaperto un essiccatore, poi il molino per macinare le castagne. Bisogna dar merito a questa gente che ha ricreato l’economia di questa valle.

Foto Francesca Pesciarelli

Oggi sono 4 i punti vendita del Forno di Matteo Calzolari, la sede storica di Monghidoro, mentre a Bologna lo troviamo in via delle Fragole e al Mercato di Mezzo. Al sabato mattina al Mercato Ritrovato della Cineteca di Bologna e da novembre 2017 a F.I.CO.

Indirizzo:

Il Forno di Calzolari
Via del Mercato 2
Monghidoro Bo
Tel: 0516555292
info@fornocalzolari.it
http://fornocalzolari.it

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