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Nel Nome del Pane un Fornaio Contadino

Il Forno Cappelletti e Bongiovanni nasce nel 1979: Maurizio e Anna, allora fidanzati, danno inizio all’attività. Nati rispettivamente a Predappio e Premilcuore, faranno di Dovadola la base della loro vita lavorativa e di coppia. Fin da subito tutto orbita intono ad un piccolo laboratorio da fornaio e ad un punto vendita posto proprio centro al paese. Sono anni di sacrifici: vivono ancora a Predappio, arrivavano a Dovadola la sera: Anna va a dormire nel retrobottega, su una brandina, mentre Maurizio fa il pane nel laboratorio, portandolo ogni mattina in bottega con un carretto, sveglia Anna e aprono il negozio. Una routine di fatica, macinata con sogni e speranze. Venduta l’ultima pagnotta della giornata, Anna e Maurizio tornavano a Predappio, per poi ripartire per Dovadola la sera stessa: avanti così per qualche anno, quando i soldi bastano per sposarsi e finalmente spostarsi a vivere a Dovadola, dove sono nati Fabio ed Enrico. È con l’ingresso dei due figli nell’attività che il forno “Nel Nome Del Pane di Cappelletti & Bongiovanni” porta la panificazione al centro di un nuovo modo di interpretare questo mestiere, un modo nuovo strettamente connesso all’antico: si parte dal rispetto dell’ambiente, dall’utilizzo sapiente di grani antichi e della loro biodiversità, dall’uso della pasta madre senza ricorrere alle farine di spinta, cuocere in un forno alimentato esclusivamente a legna, non usare – dove possibile- uova e burro perché è difficile trovare prodotti che siano in sintonia con la filosofia del forno. Tutto questo per proporre a chi frequenta il forno, un’alimentazione che protegge l’ambiente e la salute delle persone.

Incontriamo Fabio Cappelletti, classe 1982, seconda generazione di fornai… Tu non sei nato “fornaio”…

Ci sono arrivato! Sin da bambino, e poi da ragazzo, mi dicevo sempre che non avrei mai fatto il fornaio: ho vissuto direttamente le dinamiche del forno, mio babbo che lavorava di notte, dormiva di giorno, vedevo quanti sacrifici facevano i miei genitori. Ho sempre sostenuto che avrei fatto altro nella vita, avevo altri desideri comuni a tanti giovani: ho avuto diverse esperienze lavorative con responsabilità importanti che hanno formato la mi crescita ma nel 2009 c’è stata una svolta. Ho deciso di mollare tutto per fare il fornaio. Prima non avevo pienamente compreso cosa c’è dietro a un pezzo di pane e soprattutto cosa c’è dentro a un pezzo pane: in un giorno del 2009 ho capito che dentro a un pezzo di pane ci siamo noi e dietro c’è un mondo meraviglioso. Devo questa scoperta a letture sull’influenza del cibo sulla salute delle persone e dell’ambiente, e alla mia mentalità pratica: sono uno abituato a fare, a creare. Nel mestiere del fornaio, sono entrato al 100 per cento. È questo che mi fa alzare tutte le mattine per portare avanti con passione il lavoro che stiamo facendo.
Quattro anni fa anche mio fratello ha fatto la stessa scelta:  lavorava in un ufficio gestionale per avvocati e commercialisti, ho mollato tutto per fare il fornaio. Nell’impresa dei miei genitori, ho trovato un ambiente che mi ha dato lo spazio e la possibilità di crescere e fare delle scelte ben precise. Ho letto e studiato molto, su tanti aspetti, sull’economia, su cosa ci facciamo noi esseri umani sulla terra, su cosa mangiamo e come reagisce il nostro organismo al cibo, mi sono informato sui granì antichi e piano piano ho cominciato a portare queste cose nel nostro lavoro quotidiano, dentro al forno: nel nostro pane.
I nostri genitori ci hanno sempre lasciati liberi di scegliere il nostro futuro, è stato fondamentale per scegliere liberamente cosa fare, tanto per me quanto per mio fratello. I nostri genitori ne sono felici, hanno amato la nostra libertà ed è per questo che sarò sempre grato ai miei.

“Nel nome del pane” vuole essere un richiamo a un rispetto “religioso” nei confronti di un prodotto basilare della nostra alimentazione e che tutti noi consumiamo giornalmente…

Comunicare alle persone quello che facciamo, è un aspetto basilare del nostro lavoro: raccontare la nostra dinamica di produzione, far comprendere perché e come il nostro pane è differente è imprescindibile. E poi è importante conoscere le persone che vengono da noi, parlare con loro, conquistarne la fiducia: chi compra il mio pane conosce me, parla con me e io conosco il mugnaio che mi porta la farina. È una catena di consapevolezza, dove il mugnaio a sua volta conosce il contadino che gli porta il grano, parla con lui: è questa comunità il perno su cui costruiamo e mettiamo in pratica la nostra filosofia, la stessa dei nostri genitori. È da questa comunità che condivide informazioni e conoscenze che nasce una filiera di persone. L’industrializzazione ha portato alla scomparsa di questi rapporti, che pure sono fondamentali per produrre e consumare consapevolmente un prodotto onesto, in cui tutti i personaggi della filiera credono e mettono del loro. Il pane industriale esce da una catena di macchinari, spingi un bottone e dal silos arriva la farina, ne spingi un secondo e arriva l’acqua, il pane si impasta da solo, va su nastro trasportatore, si creano le forme, lo si cuoce, finisce in un sacchetto di plastica, e noi lo compriamo al supermercato. Solo quando siamo a casa e lo mettiamo in tavola quel pane, per la prima volta, vede un essere umano. Questo è quello che non voglio per me, per i miei figli, per chi viene a trovarci in bottega.
Dobbiamo ridare la giusta importanza al pane: è il primo alimento trasformato dall’uomo, ci accompagna da migliaia di anni e sino agli anni 50 era fatto con acqua, farina e lievito… a volte era l’unico alimento sulla tavola.

L’utilizzo di farine biologiche da grani antichi era già nel dna dei tuoi genitori, Maurizio e Anna…

Mio padre ha sempre fatto il pane con la pasta madre e ha sempre avuto una linea di pani integrali. La sua scelta è nata da un insieme di fattori: credeva nelle lunghe lievitazioni naturali, gli piaceva attendere il corso della natura senza svilirla con l’aggiunta di farine di spinta. Per coincidenza in quegli anni nascevano i primi punti macrobiotici e negozi dove si vendeva un certo tipo di pane,  dalle caratteristiche ben precise. Si è sparsa la voce che a Dovadola c’era un fornaio che faceva quel tipo di pane e il giro d’affari di mio padre si è ampliato; poi i negozianti gli proposero di fare qualche tipo di pane in più rispetto a quelli che già assortiva e sono nate le prime collaborazioni. Erano gli anni 80, e il mio babbo forniva il pane biologico ai suoi clienti quando ancora il biologico non esisteva, la pasta madre non andava di moda. I miei genitori sono stati pionieri del biologico in questa zona, quindi sì: è nato con noi, lo abbiamo nel dna.

Oggi ti definisci un fornaio contadino e hai un legame diretto con quella terra che ti fornisce la materia prima del tuo lavoro, che agricoltore sei…

Sono un agricoltore moderno che si rifà al passato. Ho un approccio tutto mio all’agricoltura, particolare ma innovati: nel mio primissimo campo, l’anno scorso ho seminato senza arare, sul terreno non è stato steso nessun fertilizzante o concime chimico perché sono contrari al mio modo di pensare e vivere. Non uso neanche quelli consentiti dall’agricoltura biologica! Sono fermamente convinto che questo sarà il modo migliore per fare agricoltura oggi e lo sarà anche nel futuro.
Il mio concetto è riportare la terra ad essere viva con tutta la componente di biodiversità, perché la terra dia quello che può dare senza nessuna forzatura chimica, senza pensare a una maggior resa per ettaro, senza modificare il terreno perché si adatti ad un tipo di seme. Dovrebbe essere il contrario: sono i semi che devono adattarsi al terreno. Il mio obbiettivo per il futuro sarà quello di coltivare, contemporaneamente, diverse varietà di grano nello stesso campo, così potranno contaminarsi fra loro e rimaranno solo le varietà più adatte a quello specifico tipo di terreno. In questo modo nel tempo avremmo una varietà di grano che non sarà uguale a nessuna di quelle piantate inizialmente, ma sarà quella giusta per quel terreno.

Non hai arato il terreno prima della semina…

Anche questa è stata una scelta mia: da qualche anno, in quel terreno, c’era dell’erba medica, sono passato coi dischi e poi con un rastrello, siamo scesi nel terremo per non più di 5/10 centimetri per preparare il letto di semina e abbiamo seminato la varietà Terminillo. Non ho stressato il terreno e ho abbattuto i costi.

il Terminillo che tipo di grano antico è …

È un incrocio del 1908 selezionato da Strampelli, il genetista che ha selezionato tantissime tipologie di grani tra cui Senatore Cappelli. Incrociò il Rieti e il Segale, incrociò poi nuovamente il risultato con il Rieti, perché il seme ne risultasse irrobustito, ed essere più adatto alla coltivazione in collina e in montagna. È una varietà tipica del Monte Terminillo, da qui il nome.

Non avevi timore delle erbe infestanti, che potessero avere il sopravvento sul grano… 

Sono successe cose bellissime: a un certo punto avevo un campo meraviglioso, una distesa di grano verde omogeneo, e i miei amici, che coltivano in maniera convenzionale mi guardavano e dicevano: te da qui non ci cavi nulla, si inerbisce tutto… ad un certo momento cominciano a spuntare delle zone, anche grandi, di erba medica, cominciavo a preoccuparmi. Ma poi è successo quello che io attendevo: il grano si è alzato, arrivando a più di un metro e settanta di altezza, superando di molto l’erba medica e le piante infestanti, sino a coprirle e a soffocarle. Avevo un campo di grano spettacolare, un giallo omogeneo, intenso, era bellissimo. Lo andavo a trovare tutti i giorni, per conoscerci meglio, per diventare amici, così quando lo avrei toccato, accarezzato per fare il pane avremmo avuto un ottima sintonia e il risultato sarebbe stato un capolavoro…

La resa per ettaro è molto differente tra i grani antichi e i grani moderni…

Un grano antico può rendere tra i 15 e i 30 quintali per ettaro, io quest’anno ho avuto una resa per ettaro di 20 quintali, e il 20% del grano mi si è steso col maltempo. Però quello che ho raccolto è sano e non ho recato danni all’ambiente. I granì moderni rendono dai 70 ai 90 quintali per ettaro, con rese tali per cui tutta l’agricoltura si spostata su questi tipi di grani. Per raggiungere questi livelli l’utilizzo della chimica è diventato l’abitudine in agricoltura, senza pensare all’inquinamento e quindi all’ambiente e alle persone. Solo al profitto economico.
Pensa hanno modificato anche il glutine per poter lavorare il pane con le macchine. La differenza tra il glutine di un grano moderno e uno antico non sta nella struttura del glutine perché le farine da grani moderni vengono raffinate, si toglie tutta la crusca e scemano tutte le sostanze nutrienti del grano. Resta solo la parte più bianca, quella che contiene il glutine, per dare elasticità all’impasto e permettere alla panificazione industriale di lavorarlo con macchine che hanno bisogno di un impasto sempre uguale ed elastico. Elasticità ed omogeneità sono date dal glutine. Le farine da grani antichi non hanno questo problema: il grano mantiene la crusca e le altre sostanze, col risultato che il glutine è molto più digeribile, meno dannoso.

Usate solo pasta madre e anche Lei fa parte della famiglia…

Assolutamente sì, oggi abbiamo quattro paste madri, tutte senza un nome. Sono diverse tra loro, ne abbiamo una per ogni tipo di pane che facciamo: una di farro, una di senatore cappelli e una di mix grani teneri antichi per tutti gli altri pani….
Tutte le notti quando mio padre fa il pane tiene una parte di impasto per ravvivare la pasta madre e tutti i pomeriggi alle 18, mia mamma prende l’impasto che ha tenuto il babbo e dà da “mangiare” alla pasta padre, la lascia riposare sino a quando, la notte, la useremo per fare il pane.
Questo è oramai un rito, è così da sempre: ero un bambino e con mio fratello accompagnavamo la mamma al forno per fare questo lavoro…

La quarta pasta madre…

La quarta pasta madre è la mia, l’ho fatta nascere io e la gestisco io, in maniera diversa dalle altre tre. E’ di farina mista, contaminata da tanti tipi di farine; la utilizzo per il pane con impasti a lavorazione completamente manuale.
La mia pasta madre rimane sempre pasta madre, ne prendo un pezzo per fare il pane e la rimetto a riposo, la rinfresco, non la metto mai in frigo; normalmente la tengo in magazzino a temperatura ambiente, ma quando arrivano quei caldi tremendi, come questa estate, la porto in cantina dove c’è una temperatura più fresca e costante.
L’ho fatta partire da zero con una farina di castagne perché contiene più zucchero; oggi è un’altra pasta madre, dei lieviti di quella farina di castagne iniziale non c’è più nulla. Sono tanti i fattori che influiscono, nel tempo, sulla pasta madre: il clima, l’ambiente, l’acqua, le mani di chi la lavora, la farina con cui la rinfreschi…. quindi anche se una pasta madre ha cent’anni, oggi non è la stessa di cent’anni fa, non è più rinfrescata con la farina di allora, i microrganismi che sono all’interno si modificano in continuazione.
Quando regalo la mia pasta madre ai corsi sulla panificazione, dico ai corsisti che come arriva a casa loro non è più la mia pasta madre, diventa la loro. Io ho dato loro un pugno di “animaletti” che farà partire il loro lievito, ma sono l’ambiente, le mani, l’acqua e la farina che useranno, il frigorifero che la faranno crescere diversamente dalla mia.

Esistono delle paste madri industriali…

Sono paste madri secche, e quando ho cercato di capire meglio di cosa si trattasse ho scoperto che tutte quelle che ho esaminato contengono lievito di birra, a volte mascherato in etichetta con il nome del fungo (saccaromices cerevisiae) o con la dicitura “lievito naturale”. Per questo si può trovare in commercio pane biologico fatto con pasta madre di questo tipo. Una pasta madre per essere attiva e far lievitare il pane, deve essere viva e non secca.

Dietro al pane c’è veramente un mondo, che molti ignorano, che parte dalla terra, che da vita a un seme che la natura fa crescere e maturare, l’uomo lo trasforma in farina e in pane e dentro al pane c’è l’amore di una famiglia che da quarant’anni, con le mani, ha un contatto fisico e diretto con l’impasto, c’è veramente un mondo dietro al pane e dentro ci siete voi…

C’è il mio mondo, il mondo della mia famiglia. Il contatto diretto con l’impasto è la parte più bella, crei qualcosa di tuo fatto con le tue mani. Le mani sono l’attrezzo più completo che sia mai stato inventato: quante cose puoi fare con le mani e che soddisfazione, quando crei qualcosa tu! Una parte di te entra in quello che fai, ed è per questo che abbiamo scelto di cominciare a impastare alcuni tipi di pane a mano; se qualcuno non lo capisce o non lo condivide non importa, a noi da un’enorme soddisfazione, è una sfida vinta coi panifici industriali che potranno fare il pane con ingredienti biologici o con la pasta madre, ma non potranno mai impastalo a mano!

Abbiamo parlato tanto di come si arriva ad avere un pezzo di pane, nel vostro forno troviamo altri prodotti derivanti dallo stesso percorso come i biscotti, le focacce, i grissini, i cracker, le pizze e i tanti dolci o torte che fate, avete anche un’ampia selezione di prodotti vegani e per le farciture usate solo prodotti biologici di stagione.

Il rispetto per le stagioni è importante, da noi non troverete mai una pizza coi pomodori freschi in pieno inverno.
Sono di diversi tipi i pani che facciamo: dal montanaro normale a un montanaro integrale con il grano BioAdapt, un pane in purezza di farro, e uno con farro integrale; poi ancora il grano duro col Sanatore Cappelli e un grano duro con la Tumminia – un grano antico siciliano – che è da quest’anno il pane con il Terminillo. Panifichiamo la segale e altri tipi di pane con diversi tipi di semi: pane col miglio, con la zucca o le rape rosse. Poi ci sono le pizze, le schiacciate, i grissini, i cracker, diversi tipi biscotti senza uova e burro che piacciono anche ai vegani. Infine, ci sono le torte con la frutta di stagione, le crostate, paste, brioches, sfogliatine, strudel, e la ciambella.


Quest’anno un riconoscimento importante al vostro lavoro sono arrivati i tre pani nella guida del Gambero Rosso…

Una grande sorpresa e soddisfazione per noi, ti fa capire che stai lavorando bene e il tuo lavoro viene riconosciuto. In Italia ad avere i tre pani siamo in 36, in Romagna solo 2 forni. Mi piacerebbe che questo premio fosse un incentivo per il territorio, per crescere in questo spirito constatandone i risultati. È un premio che condivido con chi ci permette di avere le materie prime che vogliamo utilizzare e, soprattutto a chi lavora nel forno con noi, avendo imparato ad amare e condividere la filosofia della nostra Famiglia.

Cosa ti piace di questo lavoro… 

Il concretizzarsi delle ricette, le nuove prove e le fasi di ricerca e messa a punto di nuovi prodotti, gli esperimenti, i nuovi progetti per nuovi orizzonti, coltivare i grani antichi, coltivare e sostenere la biodiversità, la riduzione della desertificazione. Fare tutto questo senza aver bisogno della chimica questo è uno dei motivi per cui c’è altro dietro il pane, e mi piace farlo a Dovadola, il paese in cui sono nato e vivo. Siamo sulle prime colline della Romagna-Toscana, un tipo di paese rappresenta il futuro. Sono certo che queste realtà e le loro campagne torneranno ad essere protagoniste, ripopolate, custodite, apprezzate e valorizzate. Perché è da qui che siamo partiti, qui è vivo e tangibile il nostro passato, sono vive le nostre radici, sono vive le nostre origini. È qui che vogliamo costruire e ricreare un futuro sostenibile: solo in posti come questi è possibile farlo.

Nel nome del pane di Cappelletti & Bongiovanni 
Piazza della Vittoria, 4 – Dovadola FC
Tel: 0543/934594 – 338/1459338
Sito: www.fornodovadola.it
Orario negozio lun – sab 6:00 – 13:09

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